RICORDANDO LA PARROCCHIA DEI SS. PIETRO E PAOLO
Fino a qualche decennio fa, la vita della frazione di Calendini si raccoglieva attorno alla Chiesa intitolata ai due martiri cristiani che si festeggiano il 29 giugno
Pietro nacque a Betsaida, Palestina, nel I secolo d. C. come Simone, figlio di Giona. Pescatore come il fratello Andrea, seguì Gesù come uno dei discepoli più vicini, fino a diventarne il successore come primo Pontefice della Chiesa. Fu martirizzato morendo crocifisso a testa in giù, e fu proclamato santo. Come indicano i Vangeli, la sua preminenza tra gli apostoli fu affermata solennemente da Gesù che lo consacrò fondamento della chiesa, e gli mutò il nome in Kepha – roccia – da cui poi Pietro, come ricorda Matteo (16 13-19):
Beato sei tu, Simone, figlio di Giona … e io dico a te che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.
Riconosciuto capo anche nella chiesa primitiva, svolse la sua predicazione in Giudea, Siria, Asia Minore, Grecia e Roma. E proprio a Roma fu martirizzato, sotto Nerone tra il 64 (incendio di Roma) e il 67 d. C. sul colle Vaticano, dove poi sorgerà la Basilica a lui dedicata e punto di irradiazione dell’universalità della Chiesa che si chiamerà romana.
Scavi recenti hanno messo in luce, in Vaticano, le primitive costruzioni cristiane, le conferme del culto prestato dai primi cristiani romani a Pietro e, in corrispondenza del berniniano e maestoso altare della Confessione, la tomba del primo pontefice.
Paolo nacque invece a Tarso, Turchia, tra il 5 ed il 15 d. C. Cittadino romano, di famiglia giudaica, chiamato in origine Saulo, fu alla scuola del rabbi Gamaliele il vecchio a Gerusalemme e fu educato nella setta dei farisei, strenui difensori dell’ortodossia e della Legge scritta alla quale affiancavano la legge orale o tradizione dei maestri, con una minuziosa osservanza. Perseguitò, prima della conversione, i cristiani, predicò il Vangelo in Asia Minore, Macedonia, Grecia e, arrestato, dopo due anni di prigione fu inviato a Roma e quindi prosciolto, si recò anche in Spagna.
Fu martirizzato assieme a Pietro: morì con la decapitazione in quanto cives romanus, alle Tre Fontane, dove le sorgenti ebbero origine dai tre salti della sua testa, come tramanda la tradizione. Fu sepolto nel luogo dove sorge la Basilica a lui dedicata, seconda per grandezza e maestosità solo a S. Pietro.
La Chiesa celebra la commemorazione del martirio dei SS. Pietro e Paolo il 29 giugno, ma la liturgia privilegia nelle letture, nel Vangelo, nelle antifone S. Pietro, lasciando un po’ in ombra l’Apostolo delle genti, tant’ è che il giorno successivo il calendario liturgico prevede la Commemorazione di San Paolo Apostolo.
Nel Nuovo Testamento troviamo due lettere di S. Pietro, una in greco, scritta da Roma ai cristiani della diaspora dell’Asia minore, con lo scopo di sostenere la fede dei destinatari in mezzo alle prove che li assalgono e la seconda agli stessi destinatari per metterli in guardia dai falsi dottori (nulla di nuovo sotto il sole!); e troviamo 14 lettere di S. Paolo alle diverse comunità di cristiani che lui stesso ha evangelizzato e che trattano argomenti dottrinari e di vita comune cristiana.
Queste cose mi erano raccontate, fanciullo e ragazzo, dai parroci della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo in Calendini: don Gaetano Napolitano, parroco dal 1930 al 1951, anno della sua morte, e don Raffaele Trozzo, parroco dal 1951 sino ai primi anni ’70, quando fu mandato a Mendicino, suo paese natio ove è scomparso prematuramente nel 1987, e dalle suore della comunità di religiose annessa alla parrocchia: tra esse ricordo suor Giuseppina, la madre superiora, e la mitica suor Alessia che ci teneva a bada nell’asilo e ci insegnava il catechismo per la prima Comunione e la Cresima.
Il 29 giugno era festa grande nella parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, con Messa solenne cantata e omelia di un rinomato predicatore fatto venire appositamente e scelto fra i più celebri della diocesi: ne ricordo la maestosità dall’alto del pulpito posto a metà dell’unica navata della chiesa.
A mezzogiorno, in coincidenza del festoso scampanio, Pietro Vaccaro, artificiere dilettante (chi non lo ricorda?) faceva risuonare i botti, allestiti nel campo sotto il sagrato della chiesa. La banda del paese, poi, rallegrava tutti con i suoi concerti per le strade di Paterno e sul sagrato della chiesa. E a quei tempi, con un tenore di vita semplice e non ricco, era certamente importante il pranzo festivo nelle famiglie.
La festa dei SS. Pietro e Paolo, nella nostra Parrocchia, è solo un ricordo per chi l’ha vissuta ed è totalmente sconosciuta ai più giovani. Sulla chiesa parrocchiale nel Regesto Vaticano si riportano notizie risalenti al 30 ottobre 1451, al 1537, al 14 marzo 1539.
(cfr. Catalogo calabro di f. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Gesualdi Edizione, Roma).
Paterno fu infranto dal gagliardo tremuoto del 12 febbraio 1854, (come scrive Eugenio Arnoni in Calabria Illustrata, Edizioni Orizzonti Meridionali, Cosenza 1955) e la Chiesa fu gravemente colpita, subendo in seguito una ricostruzione che ne cancellò il suo primitivo aspetto e stile. Oggi la vediamo in forme ottocentesche, risultato di restauri anche successivi e al tempo odierno, anche se aperta al culto (con la Messa domenicale celebrata dai Padri Minimi) sta subendo, ben più gravi, duraturi, colpevolmente ignorati, i danni del tempo, dell’incuria, della mancanza del Parroco (l’ultimo è stato don Raffaele Trozzo), sorte che tocca, purtroppo, a tutte le chiese di Paterno, ormai ridotte a ruderi, ad eccezione del Convento-Santuario di S. Francesco, dove resiste una comunità di Padri Minimi anche se molto meno numerosa del passato.
Artisti senza firma hanno affrescato nell’interno: Davide suona l’arpa, Miracolo della porta bella, Trionfo della Chiesa, Fuga di Pietro dal carcere, L’arresto dei due Apostoli, Paolo sulla via di Damasco, Predica di S. Pietro, L’Arcangelo Michele, La Pesca miracolosa, La chiamata di Pietro, La Trinità, Il Sacro Cuore di Gesù e Maria, Le chiavi di S. Pietro, La lavanda dei piedi.
Inoltre vi sono alcuni dipinti risalenti al 1802 (L’apparizione della Madonna e S. Lorenzo, Madonna col Bambino, Natività, SS. Pietro e Paolo), così come del diciannovesimo secolo sono tre statue di legno: Immacolata, Crocifisso e SS. Pietro e Paolo. Si può notare che l’iconografia pittorica e lignea è di buona fattura e prevalgono i riferimenti ai Patroni della Parrocchia. Da non dimenticare, poi, la cantoria con l’organo le cui note ho sentito risuonare e che oggi sarà ridotto in pessimo stato. La Chiesa dei SS. Pietro e Paolo non merita di andare lentamente ed inesorabilmente verso la rovina completa, come altre chiese di Paterno, purtroppo, già ridotte a ruderi inagibili e pericolanti.
Forse, se un comitato di gente di buona volontà cominciasse con il riorganizzare la festa dei SS. Pietro e Paolo e poi si facesse promotore di un restauro, cercando finanziamenti da banche locali di Cosenza, cittadini di Paterno, residenti oppure altrove, ivi compresi gli Stati Uniti e gli altri paesi di emigrazione, si potrebbe sperare di vedere la chiesa tornare agli antichi splendori. E’ quanto ci auguriamo.
Pino Florio
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