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MAURIZIO QUINTIERI E NICOLA MISASI: PATERNESI ILLUSTRI E DIMENTICATI
Ricordiamo due eminenti figli di Paterno che hanno eccelso nella musica e nella letteratura Condividi su Facebook

Nostalgia, lontananza, affetto per la mia natia Paterno m'ispirano altri ricordi (vedere M'Arricordu, l'Amarcord paternese) e questa volta, vado con la mente ad altri personaggi, che, forse ingiustamente o negligentemente, sono stati dimenticati, e ai quali purtroppo non è dedicata una targa sulla casa natale, una via, una commemorazione.
Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente, diceva Indro Montanelli.
Possiamo riferire la citazione ai paternesi? Ritengo, sicuramente di sì, salvo poche eccezioni. Vedrò allora di far “parlare” alcuni personaggi del nostro passato, con le loro parole, con le loro opere, quando se ne dispone, richiamandone la biografia, nella speranza di interessare i giovani, di risvegliare la memoria dei meno giovani, e di stimolare gli amministratori comunali a qualche iniziativa.
Mio padre Elia, scomparso quando avevo solo ventisei anni e da quattro avevo lasciato Paterno, senza sapere che l’allontanamento sarebbe diventato definitivo, mi raccontava tutto ciò che aveva vissuto, e di come l’emigrazione avesse attraversato fortemente e sradicato la sua famiglia. Aveva uno zio, Leopoldo, che era partito nel 1904, a diciotto anni, e poi tre fratelli: Ernesto, partito a diciassette anni nel 1921, Edmondo, a diciotto nel 1934, Erelia a diciotto nel 1930, ed Enrico, a 40 anni nel 1954 in Colorado.

La famiglia Florio in una foto del 1936: da sinistra Elia e Ida sua moglie, Edmondo, Giuseppe, (padre di Elia, Edmondo, Enrico), Enrico.

Non ho mai conosciuto lo zio di mio padre, mentre i suoi fratelli li ho incontrati, visti in Italia e in Colorado, invece mio padre poteva ricordare un fratello, Enrico, vissuto più a lungo a Paterno, ed Ernesto in visita in Italia dopo 40 anni nel 1961, e non ha mai più rivisto gli altri due e lo zio!
Ogni famiglia di Paterno ha storie di emigrazione e mio padre ha sempre intrattenuto con i suoi fratelli e con lo zio una fitta corrispondenza, interrotta solo dal 1940 al 1945 a causa della guerra, per cui non si è mai spezzato il filo della memoria e mi diceva sempre: “Ricordati di ricordare”... Avrei dovuto prendere nota, per futura memoria, di quanto lui, con lucida memoria e con dovizia di particolari, mi raccontava lui, come facevano anche le “nannarelle” del “vicinanzu” nelle serate d’inverno attorno al “focularu”. Questo raccontare era la memoria che si tramandava, come ricorda lo scrittore Nicola Misasi, scrivendo di Paterno dove è rimasto per tutta l’infanzia. Della generazione di emigranti dal 1870 al 1930 non ci sono che figli o nipoti che hanno dimenticato, salvo alcuni che scrivono per sapere o vengono a conoscere il paese di origine, che anch’io ho lasciato.
Ricordi e memorie mi mancano per molte persone, per fatti e storie della mia infanzia, del passato vissuto o raccontato dagli anziani e me ne dolgo e mi rammarico di non avere avuto l’abitudine di tenere un diario. Vorrei che i ragazzi, i giovani d’oggi, a Paterno come altrove, possano ricordare, tramandare: hanno tanti mezzi che noi non avevamo, il pc e Internet, Google, Face book, mail, foto e video, che per quanto “volatili”, conservano tutto. Per quanto io riesco a ricordare, pur con molte lacune, per quanto mi consentono anche le frequentazioni sia del passato sia di oggi con discendenti e parenti, scrivo, per del pianista Maurizio Quintieri e dello scrittore Nicola Misasi, due personaggi illustri che il destino ha voluto far intrecciare, sia pure in situazioni diverse, con la storia di Paterno.

Maurizio Quintieri

Maurizio Quintieri in un ritratto d'epoca (foto tratta dal sito www.associazionequintieri.com)
Pianista e compositore, nasce a Paterno il 24 dicembre del 1884. La famiglia era composta dal padre Demetrio, proprietario terriero, dalla madre Maria Barracco, una nobildonna, e dal fratello minore Adolfo. Non ricordo e non riesco a collocare, dove fosse l’abitazione della famiglia Quintieri: probabilmente non era nel paese ma in una loro qualche proprietà terriera, credo più Tornarizzo che Taverna. Mi sovviene il loro “fattore” che sovraintendeva alle terre e ai contadini, quando veniva in paese, entrando dalla strada dove abitavo, via Roma, passando davanti alla Fontana Grande, cavalcando una meravigliosa e maestosa giumenta dalla folta criniera. Qualcuno dei “miei dodici lettori”, come direbbe Manzoni, è in grado di fornire notizie? Adolfo, fratello di Maurizio, è il primo sindaco, eletto, di Cosenza (1946), deputato all’Assemblea Costituente (1946), componente della Commissione ristretta dei giuristi che elaborò la Costituzione della Repubblica Italiana e deputato nella prima legislatura repubblicana (1948). Non è rieletto nel 1953 perché non era incline al clientelismo, tipico del Sud, allora come ora, e “autonomo” dalle consorterie e correnti di partito. Torniamo a Maurizio: frequenta le scuole a Cosenza, e, ancora adolescente prende lezioni di musica a Napoli dai migliori maestri dell’epoca e composizione con Antonio Savasta, diplomandosi nel 1906 presso il Conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli, e nel biennio successivo segue il corso di pianoforte sotto la guida di Alessandro Longo e Florestano Rossomandi, conseguendo il diploma nel 1908 sempre presso lo stesso Conservatorio. Negli anni seguenti vive a Napoli, Milano e Roma, centri della cultura italiana, rientrando saltuariamente per le vacanze in Calabria, dove si stabilisce definitivamente, ormai ottantenne, dal 1964.
Nel suo carnet di compositore ci sono quattro opere liriche:

  • Julia (1912), su libretto di Vincenzo Bianchi e prima rappresentazione al concorso del San Carlo di Napoli (1915). L’opera è rappresentata a Cosenza nel 1923, sotto la direzione dell’autore.
  • La rosa di Sion (1930-1935), con il libretto di Giuseppe Adami. L’opera non ha un allestimento teatrale, e sono eseguiti solo alcuni passi in un’audizione privata.
  • Liliadeh (1950), per il libretto di Emidio Mucci, rappresentata per la prima volta al Teatro Verdi di Padova il 10 gennaio 1951, sotto la direzione di Giuseppe Morelli, riportando un successo entusiasmante. In seguito, l’opera è rappresentata quattro volte a Rieti, sotto la direzione di Francesco Saverio Salfi, e ad Adria sotto la direzione di Franco Patanè.
  • Genziana, del 1954, su libretto di Mario Verdone, insigne critico cinematografico, uno dei fondatori dell’Istituto Luce e padre del regista e attore Carlo, ben più famoso presso il grande pubblico. Il melodramma non è mai eseguito.

Maurizio Quintieri non lascia parole scritte, diari, memorie, ma compone, oltre alle opere ricordate, romanze e arie per canto e pianoforte, tra cui Beltà divina, Amor Nocchiero, Souvenir Lontain, Voglio baciarti ancora... e pezzi per pianoforte solista, quali Minuetto, Chant sans paroles, Danse impromptu, Rimpianto del padre per la figlia lontana, e Ballata in la bemolle. Inoltre, da ricordare la sua produzione di musica da camera: Andante religioso per arpa ed archi, Idillio e le bozze pianistiche di tre poemi sinfonici sui versi del fratello Adolfo, il parlamentare e avvocato di grido, prima ricordato: Ero e Leandro, In Treno, La vita di un eroe, che lui stesso esegue in concerto.

Adolfo Quintieri, primo sindaco di Cosenza (foto Archivio storico della Camera).
Una delle maggiori caratteristiche di Quintieri compositore è la curiosità per i nuovi generi di musica e le nuove tendenze: non si tira indietro quando Verdone gli chiede di comporre le musiche per alcuni documentari (Mazzini Europeo, Inchiesta sulla miseria, Città eterna, Dune verdi e Civiltà del lavoro) prodotti dall’Istituto Luce.
Nel 1964 Quintieri ritorna definitivamente in Calabria ed è insignito di un’importante onorificenza cittadina: diventa Socio Ordinario dell’Accademia Cosentina, la più antica accademia d'Italia, nata nel 1511, situata nella pittoresca piazza Telesio, la stessa del celebre Teatro Rendano, nel cuore del centro storico di Cosenza. Tuttora attiva, l'Accademia organizza, una o due volte al mese, conferenze, dibattiti e tavole rotonde ed è ricordata da noi ex alunni del Liceo Classico Bernardino Telesio, per le conferenze dei nostri professori di lettere, storia e filosofia, alle quali si doveva assistere “liberamente”.
Maurizio Quintieri muore a Cosenza all’età di novanta anni, il 7 febbraio del 1975.
Per maggiori informazioni e per il catalogo delle opere consultare il sito dell'Associazione Quintieri.


Nicola Misasi

Nicola Misasi in un raro ritratto d'epoca.
Nicola Misasi nasce il 4 maggio 1850. Sul luogo di nascita si hanno notizie contraddittorie, alcuni biografi o critici letterari lo vogliono cosentino, altri affermano che sia nato a Paterno. Di fatto, proviene da una famiglia originaria di Paterno, dall’inconfondibile paesaggio campestre che sarà spesso teatro delle sue novelle e dei suoi romanzi. Oltre a Nicola, della famiglia fanno parte il fratello Ignazio, con cui condividerà gran parte della sua vita, e tre sorelle, Teresa, Matilde e Gaetana, quest'ultima così chiamata in ricordo di Gaeta, luogo in cui il padre, Francesco, lavorò per alcuni anni come ispettore delle carceri. Un suo illustre nipote, Riccardo, parlamentare e ministro, era fiero della parentela con Nicola e della sua discendenza paternese, come l’ho sentito affermare più volte e in particolare nella sua conversazione elettorale a Paterno, Chiesa dell’Immacolata, nel 1958, anno della sua prima elezione, ventiseienne, alla Camera dei deputati. Nel ricordare la propria infanzia, il Misasi cita la sua carissima zia Nicolanna, che a lui bambino, racconta le favole, rumanze, i miracoli di S. Francesco di Paola, (come facevano, una volta, attorno al focolare, tutte le nostre mamme, zie e nonne) che tanto avrebbero ispirato la sua opera letteraria.

Io non ricordo che in confuso la casa ove nacqui, ove vissi i miei primi anni; so che ci era tanto sole, e giù al basso tante campagne verdi solcate da un fiume biondo (è il torrente Jassa, dove lui da ragazzo raccoglieva le more, Ndr) e, lontano, certe montagne azzurre con le cime bianche (la Sila e il Pollino, Ndr); ma ricordo la chiesa (Tutti I Santi? Palazzo Misasi, un palazzo nobiliare, uno dei più belli e imponenti di Paterno, tuttora esistente, è a Capore, Ndr) dove mia nonna, una santa e dolce vecchierella, andava ogni giorno a pregare. La chiesa era bianca, coi tetti rossi e il campanile alto, fra i cui finestroni dondolavano le campane. Era al basso della collina, sulla quale giaceva il paesello bianco e silenzioso; avea a destra un bosco di pini, a sinistra campagne, rossicce nel verno, verdi a primavera, bionde per le messi mature e ondeggianti nell'estate. Piove, piove da due giorni. Serpeggia fra i massi il fiume biondo e scroscia sordamente. Pei fianchi delle colline corrono i ruscelli spumosi, gli alberi s'ergono immobili sotto la pioggia. La nebbia pesa sui monti. Lontano, le montagne della Sila ergono fra la nebbia ceneroccia le loro creste bianche. E il fiume sotto la pioggia continua, va biondo e scrosciante verso il mare. Pure sembra immobile. Ora non più chiasso di fanciulli, non più allegre risate di monelli lungo le sue rive, non più ramoscelli, non più fiori; eppure egli va, va sempre biondiccio verso il mare; mormora sempre la sua canzone malinconica. Egli no, non muta: siamo noi che abbiamo mutato. E quanti amori, quanti affanni, quante gioie, quante amarezze son passate pel nostro cuore! - e il nostro cuore è mutato. Quando ero fanciullo andavo con gli altri fanciulli a fare alle pietre
(chi a Paterno da ragazzo non ha "fatto alle pietre”, gioco pericoloso che richiede destrezza per non essere colpito? – Ndr)
o a raccogliere le more selvatiche lungo i pruneti delle sue rive; era il nostro campo di battaglia, era il nostro deserto ove ci sentivamo padroni e signori, era il nostro amico che ci accoglieva volentieri nelle sue onde giallicce. Le nostre grida echeggiavano per le colline che gli fan siepe, il nostro chiasso copriva il suo murmure dolce e lieto.

Le notizie sulla sua prima formazione culturale sono scarse, poiché la biblioteca di casa e i suoi autografi sono andati perduti durante il secondo conflitto mondiale; ogni fatto, storia, avvenimento, è stato amorevolmente tramandato e raccontato infinite volte e i custodi più attenti sono stati donna Titina Misasi e suo figlio Riccardo, entrambi scomparsi, ma ci sono Maurizio, figlio di Riccardo e quindi testimone della tradizione ascoltata dalla nonna e dal padre, e sua cugina Claudia, che ha scritto Nicola Misasi. Una vita, tante storie, Brenner Editore - Edizioni C. J. C., Cosenza 2007.
Nicola trascorre un'infanzia irrequieta, diventando un ragazzo smanioso e indisciplinato, tanto da essere espulso dalla scuola nel 1862, a soli dodici anni. Suo unico titolo di studio è la promozione dalla prima alla seconda classe ginnasiale. Comincia a scrivere precocemente, dedicandosi a una frenetica attività letteraria, con pubblicazione da autodidatta di opere di poco conto.
Nel 1880 è a Napoli, ed ha contatti con Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio e Salvatore Di Giacomo. Nel 1881 pubblica Racconti calabresi, raccolta di novelle d’ispirazione verista, dai toni romantici propri della letteratura della prima metà dell'800. Nel 1882 si trasferisce a Roma, su invito dell'editore Angelo Sommaruga e collabora alle riviste Cronaca bizantina e il Fanfulla della Domenica, stabilendo rapporti con Carducci, D'Annunzio, Fogazzaro, Capuana e Verga. L'anno successivo pubblica la raccolta di novelle In Magna Sila e il romanzo Marito e Sacerdote.
Tornato in Calabria, ottiene, pur non essendo laureato, la nomina straordinaria di professore di letteratura italiana, in base alla Legge Casati "per chiara fama" con un decreto ministeriale del 1884: sua prima destinazione è il Liceo Gaetano Filangieri di Monteleone, l'odierna Vibo Valentia, ove insegna fino al 1893. L’anno successivo è al Liceo Classico Bernardino Telesio di Cosenza, dove insegna fino al 1921.
Scrive Luigi Carci:
Egli entrò nell'insegnamento senza laurea e senza concorso, sospintovi solo dalla sua attività letteraria e dai suoi metodi; e furono Ruggiero Borghi, (già Ministro della Pubblica Istruzione dal 1874 al 1876, Ndr) e Ferdinando Martini che in base alla Legge Casati lo nominarono, per meriti letterari eccezionali, professore di Lingua Italiana alla Scuola Normale di Monteleone, dalla quale passa al Liceo di Cosenza.

Negli anni in cui insegna al Liceo "Filangieri" di Monteleone, Misasi fonda il periodico “La cronaca Vibonese” alla quale collaborano uomini insigni per valore letterario e politico.
Nel 1921 va ad abitare in un piccolo paesino nei pressi di Cosenza, a San Fili e, alcuni anni dopo, si trasferisce nella capitale a Roma, dove muore il 23 novembre del 1923 per problemi cardiaci.
La salma è trasferita a Cosenza e, anche se Misasi non è iscritto al partito fascista, Benito Mussolini ne ordina i funerali di stato. Cosenza ha dedicato allo scrittore un busto di marmo, al valico di Montescuro è posto un cippo ricordo, una colonna in granito della Sila, a lui che del “Bosco d’Italia” è stato il cantore appassionato.
E la natia Paterno vorrà ricordarlo a quasi novanta anni dalla sua scomparsa e a più di 150 anni dalla nascita? Giriamo l’idea al Sindaco, ai giovani della Pro Loco, alla famiglia Misasi...
Nicola Misasi si distingue per un’imponente attività pubblicistica, con romanzi e racconti a puntate, resoconti di viaggi e studi di carattere socio-economico e storico sulla Calabria: la sua opera letteraria è molto vasta, i temi più ricorrenti sono il brigantaggio, piaga dell’Italia post “unitaria”, debellata dopo lungo tempo con metodi brutali, rappresaglie e agguati sanguinosi e di solito “senza prigionieri” dall’una (i briganti) o dall’altra parte (l’esercito regio piemontese con ex ufficiali borbonici a fare da interpreti agli ufficiali savoiardi che non conoscevano quasi mai l’italiano, parlando francese e tanto meno capivano il dialetto calabrese).
Avendo trascorso l’infanzia a Paterno, Misasi dedica grande attenzione a s. Francesco di Paola: nel 1907 pubblica “La mente e il cuore di Francesco di Paola ” (Lanciano – R. Carabba, editore), ristampato nel 1981 a cura di Giuseppe Grisolia (Marina di Belvedere – Cultura Calabrese, editrice). La biografia di San Francesco di Nicola Misasi cambia “registro” negli studi sul Santo. Misasi abbandona l’agiografia e gli aspetti devozionali e studia e presenta Francesco come un uomo dal carattere forte e incrollabile, “zirrusu”, e tuttavia ne scrive con amore e ammirazione, avvertendone nella natia Paterno, come lui dice, la presenza quasi fisica. In un secolo di soprusi, prepotenze, oppressione verso i deboli e gli indifesi, solo Francesco, afferma Misasi, si erge a loro difesa, minacciando i potenti della terra con “Guai a voi ” e facendo scorrere sangue da una moneta spezzata rimprovera al re di Napoli di opprimere il popolo con tributi esosi! Il capitolo su Paterno esordisce:
E Francesco accettò l’invito dei cittadini di Paterno.... Mi perdoni quella dolce e cara patria dei miei padri e dove io trascorsi la mia infanzia... e dove forse quel po’ d’ingegno che natura mi diede, mi aperse innanzi al maestoso spettacolo dei monti silani, che azzurreggiavano lontano e dove dalla bocca dei vecchi appresi le fiere storie dei tempi trascorsi....
Quante, quante volte io, fanciulletto ancora, seduto sul rustico sedile innanzi al convento, presso la fontanella
(la fontanella c’è ancora, Ndr) che egli aveva fatto scaturire dal vivo masso e presso alla quale chi sa quante volte si era riposato stanco del duro lavoro, meditando sull’uomo singolare, la cui grande anima sentivo in tutte le cose che mi circondavano, a me pareva di vederne la bella dolce figura!
Ah, da quel luogo che bellezza di paesaggio e come l’intelletto si eleva e il cuore si sublima!
Da quel convento Francesco di Paola era partito per portare in Francia (senza mai più tornare alla “sua” Paterno che ha tanto amato e alla quale alla partenza manda un saluto, Ndr) la fatidica parola che per la prima volta, fra le rovine e gli eccidi, le devastazioni, aveva mormorato in un cuore calabrese.

E della sua infanzia scrive:

Una scultura dedicata a Nicola Misasi (da www.amantea3.it).
A che pensi? Mi domandasti stasera mentre raccontavi ai giovani che ti facevan corona, tutti intenti, la bella vita che vivemmo insieme quando tu non eri ancora il poeta delle”Odi pagane" né il buon Milelli del Carducci, né il traduttore di Anacreonte e di Teocrito, né il Direttore grave e solenne di un ginnasio; ed io ero un giovanottino magro e lungo, un po' romantico e un po' malinconico e che scriveva versi tragici e ballate fosche e aveva sempre in cuore una passione e nello spirito un’irrequietezza. Scrollai le spalle e non risposi. Tu narravi cose allegre e allegre vicissitudini; i pranzetti carpiti a quel buon parroco che nel giornale diretto da te, redatto da me, dal titolo "La Scopa", difendemmo contro le angherie del Consiglio scolastico; tu narravi le escursioni artistiche che mettevan capo alle osterie di campagna, ove ci inebriavamo di arte e di vino, ma più di vino che di arte: tu narravi le fedi e le superbie, gli ideali e gli sconforti, i propositi e le fiacchezze, gli ardimenti e le disperazioni di quegli anni che pur furono i più belli, ai quali tornerei volentieri, come volentieri ci ritorno con la memoria quando sono stanco del presente e parmi buio e desolato l'avvenire.
...Quando ero bimbo, ...e sono scorsi ormai molti e molti e molti anni, mi piaceva tanto il far chiasso con gli altri fanciulli giù nel cortile
(casa Misasi a Paterno, Merendi, ndr) nelle ore del vespro specialmente, quando il babbo e la mamma dormivano e il sole bruciava, ingiallendo le vie deserte e silenziose del mio paesello. Oh il mio bel paesello! Esso è lontano, lontano assai, sulla cima di una montagna tutta nera di alberi, sicché da lungi appare come uno sgorbio fatto col gesso sulla lavagna. Ivi tutto è quieto, non strider di carrozze, non scalpitii di cavalli, non vocio di viandanti per le strade anguste, sporche; sì, sporche, e il paesello è brutto, ne convengo, ma quelle strade sporche e quel paesello brutto, spesso mi tornano in mente e il ricordo mi fa tanto malinconico.
Ma via, non voglio attristarti. Dunque babbo e mamma ritornano a casa al mezzogiorno per pranzare, poscia, nell'estate, vanno a letto: ed è una grande seccatura, perché vogliono che anche i fanciulli dormano fino al vespro, ora in cui si ritorna a scuola. Capirai che e proprio quella l'ora opportuna per fare il chiasso giù nel cortile o fuori la porta in strada; ed io, appena babbo e mamma si alzavano da tavola, andavo nella mia stanzuccia, mi coricavo così vestito com'ero, avendo cura però di ficcarmi ben bene sotto le coltri per farmi credere nudo nel letto.
Intanto babbo e mamma andavano nell'altra stanza per coricarsi; io zitto sotto le coltri con gli occhi socchiusi, mi divertivo a guardare il pulviscolo dorato nel raggio di sole che filtrava per le fessure del balcone e le mosche che ronzavano volitando a esso intorno. Hai mai visto com'e bello il pulviscolo biondo in un raggio di sole?.
Intanto babbo e mamma si addormivano; ed io che ero tutto in sudori, pian pianino cacciavo fuori dalle coltri una gamba, che restava penzoloni, mentre tendevo le orecchie per ritirarla fra le coltri al più lieve rumore. Infine mi sollevavo sui gomiti; parea impossibile, le tavole scricchiolavano come se avessero voluto svegliare babbo e mamma per denunciarmi.
Poi scendevo dal letto e, attraversando in punta di piedi le stanze al buio, ora urtando in una sedia, or facendo cigolare una porta, ora spaventando il gatto che sbalzava sulla tavola o sugli armadi e di la mi guardava con gli occhi gialli e il pelo ritto. Appena arrivato alla porta di strada, l'aprivo, e poi scappa giù per la scala inondata di luce sì viva che mi faceva chiuder gli occhi. Nel cortile, ampio, tutto erbe, fossetti, sedili, trovavo sette o otto fanciulli che mi aspettavano … coi fanciulli ci erano anche delle bambine, fìglie di povera gente. La più graziosa fra tutte era la Peppinella che noi, per verso, chiamavamo Nella.

I brani sono inseriti in Femminilità del 1887, dove troviamo una prima stesura del racconto dal titolo San Francesco di Paola.
Più tardi, nel 1893, Misasi terrà a Napoli una conferenza con tema la vita di S. Francesco. Lo stesso racconto riappare nel volume intitolato In provincia, pubblicato nel 1896, e nel 1907, Misasi scriverà il famoso saggio sulla vita del Santo La mente e il cuore di Francesco di Paola che farà il giro del mondo; verrà, infatti, tradotto anche in inglese (The mind and heart of Francis of Paola, distribuito nel 1911).
Scrive Lina Iannuzzi ne Il pensiero di Misasi intorno a San Francesco:
Mentre la tradizione chiesastica ha tramandato un'immagine di uomo mansueto, mistico, remissivo, Misasi segue soprattutto l'interpretazione di Delavigne e di Victor Hugo (Luigi XI di C. Delavigne e Torquemada di V. Hugo, ndr).
Ma non tende certo a far del Santo un protestatario alla maniera di Murat o di Robespierre; rende invece evidente come, per soggiogare governanti e sovrani, egli abbia fatto leva esclusivamente su un grande spirito di carità (il motto della sua vita e del suo ordine, N.d.R.) e sulla fierezza del proprio carattere. È questo il maggior miracolo che lo scrittore attribuisce al Santo di Paola e si duole che il popolo calabrese, che non ebbe mai virtù civili, non l'abbia compreso. Per Misasi il Santo di Paola possiede le virtù morali di cui son privi i calabresi che costituiscono la classe dirigente. Costoro, quasi sempre egoisti e invidiosi, hanno impedito per tanti secoli ogni forma di incivilimento, asservendosi allo straniero invasore e favorendo il prevalere dei cosìddetti galantuomini prima del 1870, e subito dopo il comparaggio parlamentare. È questo uno degli argomenti di fondo trattati dal nostro Autore.

E’ cambiato qualcosa da allora? O bisogna che “tutto cambi perché nulla cambi”, come scrive Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo? L'interesse di Misasi per il santo scaturisce probabilmente da un episodio avvenuto quando il Santo era ancora in vita. Si racconta che un suo antenato, un certo Adriano, preoccupato per la salute della nipote, affetta da una grave malattia, un giorno si recò a Paola da S. Francesco per chiederne la guarigione; il Santo, gli consegnò nelle mani dei corbezzoli, e cosi gli rispose: “Portaci 'ssi dua cacummari e vedrai ca' guariscia” (Portale questi due corbezzoli e vedrai che guarirà). Quando Adriano tornò a Paterno, appena entrò nella stanza dove riposava la ragazza, questa si alzò completamente guarita e, da quel giorno, la famiglia Misasi pratica una forte e convinta una devozione per il Santo di Paola, e ogni capofamiglia nei secoli successivi istituì all'interno delle proprie case l'ormai famosa "Camera di San Francesco". Ricordo, quando ero ragazzo a Paterno, la particolare frequente consuetudine con Il Santuario di Paterno di donna Beatrice Misasi.
E ancora scrive Misasi di Francesco:
Io sento una tenerezza profonda per quel vecchio, perocché i miei son di Paterno, il paesello ove egli visse tanto della sua vita di amore e di carità. Tutto nell'infanzia mi parlò di lui, la chiesa, il convento, la montagna, il bosco, in casa mia la sera, quando fuori nevicava, e sul focolare scoppiettava un'allegra fiammata che si elevava serpeggiante tra le faville e arrossava i nostri volti, la zia Nicolanna, vecchierella di ottanta anni, che ricordava tante cose e sapeva tante paurose leggende di amori e di vendette, mi parlava di Lui come di persona a noi intima, a noi familiare e benefica, alla quale dovevano la salute, la casa, i campicelli, e che poi avrebbe ottenuto dal buon Dio un posticino nel Paradiso. Per me quel vecchio era vivo e vero, buono come un buon nonno e un po' stizzoso e brontolone come un nonno. Il suo convento era posto nella spianata a mezzo le colline tra un bosco di castagni. L'interno della chiesetta era buio, con larghe strisce gialle qua e la pei raggi del sole che scendevano dalle invetriate; in fondo alle cappellucce tremolavano perenni le lampade votive innanzi ai quadri sbiaditi e alle statue. Veggo ancora quei confessionali neri con un'ombra dentro ripiegata, e fuori una figura di donna inginocchiata, con la faccia nascosta dal tovagliolo bianco; veggo ancora l'altare maggiore, in fondo, tutte dorature, coi candelabri di legno inargentati, coi vasi di fiori, con le candele bianche. La zia Nicolanna voleva che la accompagnassi ogni giorno colà e pregassi con lei. Nell'anima fanciulla, vaga di luce, quella chiesetta severa, tenebrosa in mezzo alle verdi colline, ai boschi frondosi, sotto un cielo purissimo e sfioccato qua e la da nubi bianchicce, metteva qualche cosa di malinconico ... io che ero stato quieto per un bel pezzo, d'un tratto mi stringevo alla gonna della devota vecchierella, e piagnucolando, dicevo: “Zia, voglio andar fuori, voglio andar fuori, zia”! E zia Nicolanna, alzando gli occhi dal libro e guardandomi di sopra agli occhiali: “Zitto, rispondeva, zitto, che S. Francesco ti ascolta”. E mi additava la grande immagine del vecchio, posta su l'altare maggiore, del bel vecchio dalla barba bianchissima, dagli occhi soavissimi, dalla persona alta e forte, vestito di nero, appoggiato al bastone e dalla testa incappucciata che aveva intorno un'aureola e nel mezzo del petto uno scudo come un cavaliere e sullo scudo e sull'aureola a caratteri d'oro una parola: "Carità". E in fede mia io credevo e credo ancora, ve lo giuro, che quel buon vecchio mi sorridesse allegro e insieme pietoso, come se mi volesse dire: “Via, figliolo, lo farai più tardi in riva al fiume il chiasso coi fanciulli tuoi pari”. Ed anche oggi, quando mi assalgono certe malinconie e il mio sguardo, che il mondo ha distratto dal cielo, si incontra nel suo, par che egli mi riconosca e mi dica non più allegro, ma pietoso sempre: “Via, via, abbi pazienza, figliolo, abbi pazienza!"...

Per le citazioni abbiamo attinto a Nicola Misasi tra le righe Una vita, tante storie, prefazione di Maurizio Misasi, Brenner Editore Cosenza 2008 e a La mente e il cuore di Francesco di Paola, Carabba Editore Lanciano.
Roma, 27 giugno 2011
Pino Florio Condividi su Facebook



Nota: La redazione di questo articolo ha comportato ricerche bibliografiche, esercizi di memoria, lavoro di rifinitura, ma il mio sforzo è un omaggio dovuto a Luigi Caputo che con sacrificio personale e impegno costante mantiene vivo il portale dedicato a Paterno ed è anche dedicato ai paternesi che vivono all’estero e a quelli che vivono a Paterno e vogliono “ricordare di ricordare” (Pino Florio).



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